Messico, non solo cacao

Racconto di un'immersione nel cioccolato messicano

Parlare di Messico in tema di cioccolato evoca in prima istanza i buoni cacao che provengono da tale paese piuttosto che le tavolette di cioccolato.

In effetti, in Italia, sono molto rare le tavolette provenienti dal paese centro americano; mentre più noti e spesso apprezzati sono i cacao, tra questi il Real di Soconusco è indubbiamente il più rinomato.

Un motivo, ovviamente, c’è: i cioccolati messicani hanno una qualità media alquanto bassa, troppo bassa per trovare successo da noi. Eppure anche in Messico, nonostante il clima, il nostro amato cibo viene consumato in abbondanza, ma con una differenza sostanziale: è più diffusa “la” cioccolata, come bevanda, che non “il” cioccolato, inteso come tavoletta o comunque prodotto solido.

Il cioccolato ai messicani piace, viene apprezzato, tanto da avere sufficiente leva sociale e mediatica da giustificare lo svolgimento di un festival a esso dedicato, ormai appuntamento fisso da alcuni anni in Tabasco, nella città di Villahermosa, potrei descriverlo come una sorta di Eurochocolate locale, con la differenza però che la qualità dei prodotti è mediamente più bassa.

Ogni anno tale evento vede ospite un diverso paese e quest’anno era il turno proprio dell’Italia; per questo motivo, 7 – 8 italiani esperti in questo ambito, tra cui il sottoscritto, sono stati invitati a svolgere alcuni interventi all’interno della manifestazione, ognuno secondo le proprie competenze.

Frequentando il festival, stando a contatto con produttori e consumatori, e visitando anche una coltivazione di cacao, ho così avuto modo di tastare il polso del mondo “cioccolatero” messicano e dell’idea che la popolazione locale ha del cioccolato.

 

Il festival ha avuto una durata di 5 giorni, e ha occupato 2 grandi padiglioni della fiera locale.

Molto alto il numero degli espositori, inatteso, ma era incrementato anche da stand che proponevano artigianato, cibo tipico messicano, e qualche altra amenità poco correlata al cioccolato. Presenti, inoltre, diversi spazi per gli eventi, apprezzabile quindi l’inclusione nella manifestazione anche di momenti culturali, dimostrativi e degustativi.Il nostro paese era rappresentato ufficialmente da uno stand che proponeva diversi prodotti dei migliori cioccolatieri italiani e che a fine salone erano praticamente esauriti. 

Era piacevole girare tra gli stand a curiosare l’ampia varietà di proposte di ciascun cioccolatiere. Per quanto riguarda le tavolette di fondente classico, devo dire che ben poche erano all’altezza dello stile europeo; l’impressione generale è che i cacao utilizzati fossero anche di discreta qualità ma poi che la lavorazione fosse invece alquanto approssimativa e non riuscisse a sfruttare al meglio le caratteristiche della materia prima. In particolare, molte tavolette risultavano decisamente farinose, prive di quella cremosità che costituisce un elemento imprescindibile e che rende il cioccolato ciò che conosciamo. Probabilmente questo limite è dovuto all’abitudine dei consumatori di avere tra le mani cioccolati molto grezzi destinati a essere sciolti in acqua, quindi una tavoletta “quasi raffinata” viene interpretata da loro come ben raffinata.

 

Tra i produttori da segnalare citerei senza ombra di dubbio Levélez: in assoluto il migliore, anzi direi l’unico veramente all’altezza dei migliori cioccolati all’occidentale, con cacao di alta qualità e una lavorazione che valorizza bene la materia prima. Ho riscontrato la presenza di buoni cacao anche in alcune tavolette di Pasiòn de cacao e di Chocofer, anche se in queste aziende la lavorazione lascia alquanto a desiderare il risultato finale non è clamoroso.

Da quelle parti il cacao è di casa, di conseguenza si tratta di un prodotto ben conosciuto dal grande pubblico. Ad esempio, i consumatori conoscono bene il significato e il valore delle fave di cacao di colore bianco, sanno che sono le migliori e che posso dare vita a tavolette di grande prestigio.

Non a caso, infatti, molte tavolette riportano in etichetta proprio l’indicazione “almendra blanca” (fava bianca), informazione che dalle nostre parti scivolerebbe nel vuoto dato che praticamente nessun consumatore saprebbe attribuirle il corretto significato. Ad esempio, tutte e tre le aziende sopra citate riportano tale indicazione in etichetta. In effetti il Messico, e soprattutto il Tabasco, è molto ricco di cacao di grande qualità e in particolare di veri Criollos, che quando sono puri hanno appunto i semi bianchi. Devo dire che raramente si incontrano zone di coltivazione con una concentrazione così alta di questi cacao di grande valore.

 

Dicevo prima che in Messico si fa ampio uso del cacao per farne una bevanda. Questo è un aspetto culturalmente interessante in quanto tale usanza discende direttamente dalla tradizione azteca.

Ricordo, infatti, che tutte le popolazioni meso americane precolombiane consumavano il cacao esclusivamente sotto forma di bevanda, per avere le prime tavolette di cioccolato solido dobbiamo arrivare all’Europa dell’800. Nella società messicana, e tabasqueña in particolare, la cultura della bevanda si è quindi tramandata fino ai giorni nostri, costituendo così un vero e proprio link di costume dal passato al presente.

Molti stand della fiera offrivano in vendita prodotti finalizzati proprio alla preparazione della bevanda, costituiti sia da preparati in busta, sia da semplice cacao in polvere, sia da cioccolato solido da sciogliere in acqua o latte. Quest’ultimo, a proposito di “link”, ci ricorda il nostro cioccolato modicano, nato appunto come una sorta di liofilizzato pronto per essere sciolto in tazza, e non come tavoletta da mangiare.

Interessante anche il fatto che tutto il cacao in polvere presente agli stand non fosse potassato; per chi non lo sapesse, il cacao in polvere che troviamo comunemente al supermercato è particolarmente scuro in quanto viene sottoposto a un processo chimico chiamato potassatura o alcalinizzazione, con lo scopo di ridurre acidità e amarezza del prodotto, nonché di scurirlo.

Tutte le confezioni di cacao in vendita alla fiera erano invece di cacao naturale, non potassato, quindi di un colore nocciola-beige piuttosto che del classico marrone cioccolato.

Apprezzabile questa versione più naturale, dovuta però, con ogni probabilità e a mio parere, più alla difficoltà di effettuare il processo di potassatura (si trattava di prodotti artigianali) che di un esplicito intento di ottenere un prodotto meno artefatto; non nego, comunque, l’influenza, anche in questo caso, di un retaggio culturale che porta a utilizzare il cacao in versione più naturale.

 

Quando viaggio alla scoperta del mondo del cioccolato, o partecipo a eventi sul tema, sono sempre alla ricerca di novità o comunque di informazioni che possano arricchire il mio bagaglio di conoscenze. In questa fiera sono stato molto contento di trovarmi davanti a due fenomeni che conoscevo solo in teoria ma non ancora riscontrati dal vivo: il pataxte e il cacao lavato.

Pataxte è il nome volgare che viene dato alla Theobroma bicolor, una cugina del cacao (Theobroma cacao), che in alcune culture viene utilizzata per ricavarne alcuni prodotti simil-cioccolato.

In questa fiera i frutti di pataxte erano presenti ovunque, sia come frutti interi che come prodotti da essi derivati. Assaggiato fresco il seme non ricorda molto quello del cacao, piuttosto direi che si avvicina di più alla polpa bianca che avvolge i semi di cacao.

Non era difficile trovare anche tavolette realizzate con un misto di cacao e pataxte, più complessa è stata invece la ricerca di una tavoletta fatta solo con questo frutto, senza cacao, ma quando l’ho trovata non ho potuto fare a meno di acquistarne alcune, una vera curiosità, una occasione da non perdere! All’assaggio, devo dire che risulta un po’ strano… almeno per chi è abituato quotidianamente al cioccolato: è molto delicato, quasi insapore rispetto al cioccolato, potrei paragonarlo a un cioccolato bianco, meno dolce, con evidenti note di nocciola.

La seconda rarità e curiosità riguardava il cacao lavato. Si tratta di un cacao le cui fave non vengono fatte fermentare, o talvolta solo parzialmente, ma vengono lavate con acqua per rimuovere la mucillaggine che le ricopre e quindi vengono fatte essiccare al sole.

Ovviamente non potrà mai essere un cacao con lo stesso sviluppo aromatico di quello tradizionale, fermentato, però ha il vantaggio di mantenere al suo interno una maggiore quota di antiossidanti, benèfici per la salute, rispetto alla versione fermentata. Anche in questo caso tali semi vengono utilizzati per la preparazione della bevanda. Non potevo però resistere alla curiosità di provare un cioccolato fatto con cacao lavato, così ne ho riportato 1kg in valigia da trasformare in cioccolato nel mio micro-laboratorio di casa.

 

L’ultimo giorno di permanenza in Messico è stato dedicato a una visita alla piantagione Rancho San Luis, vicino la zona archeologica di Comalcalco. Anche qui non è mancata una particolarità: le piante avevano una distanza tra loro di soli 1,5 m, invece dei canonici 3 m, ed erano mantenute a un’altezza non superiore ai 4 m. In questo modo, a detta del coltivatore, per ogni ettaro di terreno si riescono a ricavare fino a 3 t di cacao l’anno.

Le prime piante che hanno dato origine all’attuale coltivazione furono importate da Guayaquil, in Ecuador. Devo dire che questo professionista del cacao sapeva il fatto suo, mi è sembrato tutt’altro che sprovveduto. Fa fermentazioni differenziate per ogni tipo di cacao, e questo è già un buon segnale di conoscenza e di cura del prodotto.

A sua detta, si trattava di varietà di cacao a fava bianca; va bene la fiducia, ma io.... volevo vedere! E così mi sono fatto aprire una cabosse e i relativi semi: perfettamente bianchi! Anche all’assaggio il seme fresco si è rivelato fantastico, anzi strepitoso: nessuna astringenza, nessuna amarezza, nessuna acidità. Sono esattamente le premesse necessarie per ottenere cioccolati di alto prestigio. I

l nome di questo cacao è Carmelo, ma ho avuto l’impressione che si trattasse di una nomenclatura di uso locale. Si tratta, sempre secondo il coltivatore, di un così detto neo-Criollo, che contiene ben il 58% di burro di cacao. Viene venduto a 8,50 € / kg, fermentato ed essiccato. A proposito di fermentazione, lui la effettua in genere per 6 giorni, con girate ogni 48-48-24 ore, ma alcuni specifici cloni di cacao li fermenta solo per 4 giorni.

 

 

Non tutti i cacao del Messico, ovviamente, arrivano a tale qualità, anzi, come sempre accade, per la grande maggioranza si tratta di cacao ordinari; è vero però che qui si incontrano qualità superiori più frequentemente rispetto a quanto accade in altri paesi. Fatto sta, che a causa delle consuete dinamiche economiche legate al cacao, anche in Messico le fave vengono spesso acquistate a prezzi molto bassi soprattutto dalle grandi multinazionali, e questo ha portato, almeno in Tabasco, a passare dai 36.000 ettari coltivati a cacao di una volta ai 12.000 attuali; proprio a causa dei margini di guadagno molto ridotti, molti proprietari terrieri preferiscono rinunciare alla coltivazione del cacao e lasciare i terreni come pascolo per gli animali.

 

Complessivamente, l’esperienza messicana è stata piacevole e interessante, anche avendo già frequentato molti diversi paesi produttori di cacao a ogni nuova esperienza c’è sempre qualcosa di particolare e di diverso da scoprire. Qui, in particolare, ho riscontrato una diffusa presenza di cacao di qualità, e in fondo dal Messico questo ce lo possiamo aspettare.

Un altro aspetto interessante è l’ampio uso del cacao da parte delle popolazione, anche se soprattutto in forma di bevanda, cosa che non capita spesso di riscontrare nei paesi dove si coltiva il cacao. Solo in Messico, dunque, è possibile vedere andare a braccetto tre diversi e importanti aspetti del cioccolato: la produzione di ottime qualità di cacao, un consumo notevole del prodotto e le origini storiche e culturali del nostro amato cioccolato.

di Roberto Caraceni

 

05 dicembre 2023